Il melanoma, non si manifesta in modo uguale in ogni soggetto ma, si divide in due grandi categorie: in alcuni presenta una mutazione BRAF /NRAS ed in altri soggetti è non mutato altrimenti detto I WILD TYPE.
Negli ultimi anni la ricerca ha fatto passi da gigante nella lotta al melanoma, scoprendo numerose opzioni terapeutiche. Il vostro oncologo saprà suggerirvi la terapia migliore alla vostra situazione specifica.
La terapia del melanoma si divide principalmente in due branche: la terapia target e l' immunoterapia. La prima va a colpire le mutazioni genetiche dei pazienti che hanno la mutazione BRAF che è la più frequente.
L' immunoterapia utilizza un altro meccanismo d'azione. Cerca di "smascherare" il melanoma che si nasconde al mostro sistema immunitario. Le molecole più usate sono gli anticorpi monoclonali. Ad oggi autorizzati sono l'Ipimilumab (YERVOY, anti-CTLA-4), il Nivolumab (OPDIVO) e il Pembrolizumab (KEYTRUDA). Il Nivolumab ed il Pembrolizumab sono farmaci" fratelli" entrambi inibitori del checkpoint PD-1, anche se prodotti da case farmaceutiche diverse.
Queste varie “armi” possono essere utilizzate singolarmente o in combinazione. Grazie alla ricerca scientifica e all’innovazione in oncologia le terapie risultano più efficaci, in grado di ridurre la mortalità e presentano minori effetti collaterali rispetto al passato.
Il melanoma è un tumore guaribile se asportato chirurgicamente in fase iniziale, quando cioè è ancora confinato negli strati più superficiali della pelle. Necessita di essere curato quando invece è diffuso ad altre parti dell’organismo (come fegato, polmoni, ossa e cervello).
Vediamo di seguito le opzione terapeutiche ad oggi approvate, fermo restando che vi è comunque la possibilità di entrare in trial clinici sperimentali in cui farmaci approvati vengono combinati a farmaci nuovi che necessitano quindi di sperimentazione clinica.
È sicuramente la prima cura scelta per contrastare il melanoma soprattutto quando il tumore è situato negli strati più superficiali della cura. Quando invece la malattia è già diffusa in altre parti dell'organismo (per esempio fegato, polmoni, ossa e cervello) l'intervento con il bisturi è meno utilizzato e si ricorre ad altre tipologie di cure.
La target therapy o terapia a bersaglio molecolare: la sua azione è diretta in modo specifico contro un ‘bersaglio’ presente nelle cellule tumorali. I farmaci colpiscono una molecola o un meccanismo individuato come fondamentale per lo sviluppo del cancro.
Il loro meccanismo di azione si basa sulla capacità di legarsi specificamente ai bersagli molecolari identificati nelle cellule tumorali. Per questo motivo sono definite anche terapie ‘mirate’. Questo particolare meccanismo ne rende altamente selettiva l’azione, lasciando del tutto inalterate le cellule normali, contrariamente a quanto avviene con la chemioterapia.
In sostanza, la terapia a bersaglio molecolare consente un trattamento specifico e selettivo mirato a correggere la mutazione genetica.
Individuare la mutazione genetica alla base della malattia è fondamentale perché ogni mutazione predispone alla risposta a una terapia specifica.
Le mutazioni identificate come le più frequenti e le più importanti sono quelle a carico del gene BRAF, che si riscontrano in circa la metà dei casi di melanoma. Questi pazienti possono beneficiare della terapia a bersaglio molecolare. Attualmente, tre combinazioni di farmaci (inibitori del gene BRAF in associazione con inibitori del gene MEK) sono disponibili in Italia, somministrati insieme per “spegnere” in maniera più efficace e prolungata la proteina mutata del gene BRAF, secondo il seguente schema:
• vemurafenib (Zelboraf®, inibitore BRAF) + cobimetinib (Cotellic®, inibitore MEK);
• dabrafenib (Tafinlar®, inibitore BRAF) + trametinib (Mekinist®, inibitore MEK);
• encorafenib (Braftovi®, inibitore BRAF) + binimetinib (Mektovi®, inibitore MEK).
È stato infatti dimostrato che l’associazione di farmaci inibitori del gene BRAF con quelli inibitori del gene MEK è ampiamente superiore alla terapia con il solo BRAF-inibitore in termini di controllo di malattia e di minor numero di effetti collaterali cutanei. L’utilizzo combinato di questi farmaci sembra ritardare lo sviluppo di resistenza alle terapie molecolari nelle cellule tumorali e causare minori effetti collaterali nei pazienti.
Nell’1-3% dei melanomi - soprattutto quelli delle mucose, delle mani e dei piedi o del volto - sono presenti mutazioni a carico del gene c-KIT che possono trarre beneficio dal trattamento con farmaci a bersaglio molecolare quali imatinib (Glivec®) o nilotinib (Tasigna®).
Le reazioni alla terapia a bersaglio molecolare variano da soggetto a soggetto e di solito possono essere facilmente controllate con appositi farmaci. Gli effetti collaterali più frequenti sono dolori articolari, stanchezza, arrossamento cutaneo, formazione di calli alle mani e piedi, prurito, febbre, dolori muscolari, secchezza della pelle e fotosensibilità.
Per alleviare la reazione alla luce del sole è bene evitare di esporsi ai raggi solari anche involontariamente (come ad esempio stando in auto o scendendo in giardino). È utile ed importante proteggersi sempre con creme solari ad alta protezione e indossando abiti coprenti (ad esempio, vestiti a maniche lunghe, pantaloni, ecc.). È sconsigliatissimo andare al mare o in montagna.
Un effetto collaterale importante causato dagli inibitori del gene BRAF è lo sviluppo di cheratosi e di altre formazioni cutanee, tra cui anche il carcinoma a cellule squamose, che deve essere rimosso chirurgicamente. Tuttavia, l’insorgenza di queste lesioni non rappresenta un problema perché hanno un decorso benigno. Per questo motivo, durante il trattamento con gli inibitori di BRAF è utile un controllo periodico dal dermatologo.
Un effetto collaterale tipico della combinazione dabrafenib + trametinib è la febbre dovuta all’azione dei farmaci e non alla presenza di infezioni. La sospensione temporanea della terapia (2-3 giorni) e il trattamento con antipiretici risolvono tale effetto collaterale.
Gli effetti collaterali più comuni in pazienti trattati con la combinazione di encorafenib + binimetinib sono stanchezza, nausea, dolori muscolari e articolari, aumento dei valori dell’enzima creatina fosfochinasi (CPK) nel sangue periferico. (fonte Aimac)
Consiste nella somministrazione di farmaci che possono stimolare e potenziare il sistema immunitario e aiutarlo a combattere il cancro. Il melanoma è stato l’apripista di questa nuova arma anti-tumorale e il primo farmaco immunoterapico è stato introdotto nella pratica clinica oltre 10 anni fa. Il trattamento può dare una risposta anti-tumorale a volte più lenta e tardiva rispetto ad altre cure. In un primo momento può evidenziarsi anche una crescita delle lesioni tumorali che solo successivamente tendono a ridursi ( pseudo progressione) .
L’immunoterapia è un tipo di trattamento che utilizza il sistema immunitario per combattere il tumore stimolando le cellule sane a combattere quelle malate. Studi recenti hanno dimostrato che i nuovi trattamenti hanno migliorato significativamente la sopravvivenza dei pazienti colpiti nella fase metastatica. In particolare si sono rivelati efficaci due classi di anticorpi monoclonali che, bloccando rispettivamente l’attività di CTLA-4 e di PD-1 (molecole naturalmente presenti sulle cellule T), favoriscono una risposta immunitaria contro le cellule cancerogene.
L'immunoterapia è stata la prima grande arma contro il MELANOMA.
Dieci anni fa la sopravvivenza stimata per i pazienti al 4°stadio a 5anni era solo del 5%, oggi è del 50%. Dati veramente sorprendenti se si considera i risultati ottenuti da uno studio australiano che ci mostra una sopravvivenza all'anno del 60% per i pazienti con metastasi encefaliche trattate con la combinazione di farmaci Ipilimumab + Nivolumab.
Queste terapie rivoluzionarie cercano di RIEDUCARE IL SISTEMA IMMUNITARIO e nel 50% dei casi ci riescono. I dati mostrano una grandissima superiorità di (OPDIVO) NIVOLUMAB rispetto ad (YERVOY) IPILIMUMAB E una ulteriore superiorità della combinazione dei due farmaci che però è fortemente tossica. I pazienti che hanno mostrato migliore giovamento della combinazione sono stati appunto i pazienti con metastasi encefaliche e i pazienti con mutazione. La combinazione ha dato grandi risultati anche dopo eventuale sospensione per tossicità.
Altro grande risultato riguarda i dati analizzati a 3 anni per quanto riguarda le terapie ADIUVANTI degli stadi IIIb IIIC e IV resecati, il 60% dei pazienti risulta ad oggi libero da malattia è il 66% non ha sviluppato metastasi a distanza.
Comprendere e superare i meccanismi di resistenza e sviluppare dei test per personalizzare ed ottimizzare le cure, sono le grandi sfide del futuro.
L’AIFA ha approvato nel luglio 2023 la rimborsabilità da parte del Sistema sanitario nazionale per una nuova prospettiva terapeutica adiuvante con Pembrolizumab, che permette ai pazienti affetti da melanoma non metastatico , in stadio IIB e IIC operato, con linfonodo sentinella negativo di accedere ad un trattamento immunoterapico, aumentandone le prospettive di vita.
Pembrolizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato che blocca il checkpoint immunitario PD1/PD-L1, agisce togliendo un freno al sistema immunitario e riattivando le capacità naturali di difesa dell’organismo contro il tumore. Tale farmaco era già autorizzato in monoterapia per il pazienti adulti ed adolescenti (di almeno 12 anni) con melanoma in stadio III, adesso lo si potrà utilizzare anche per quelli in stadio IIB e IIC, dopo la resezione completa del tumore.
I dati finali dello studio di fase 3 KEYNOTE- 716 hanno dimostrato che, per questi pazienti, con un alto tasso di recidiva locale e a distanza relativamente elevato, la somministrazione in adiuvante di Pembrolizumab, per un anno, ha dato loro, un vantaggio significativo, in termini di sopravvivenza libera da recidive, del 13% rispetto ai pazienti che hanno assunto il placebo, a 3 anni. Mostrando, inoltre, una riduzione di circa il 40% nel rischio di sviluppare metastasi a distanza, con un tasso di effetti avversi di grado 3-4 in circa il 16% dei pazienti.
La radioterapia fa parte dei protocolli nella cura del melanoma. In particolare la radioterapia stereotassica ha mostrato negli ultimi anni dei risultati promettenti nel combattere il melanoma metastatico.
La radioterapia stereotassica corporea (SBRT, Stereotactic Body Radiation Therapy) è una innovativa tecnica radioterapica non invasiva che permette di inviare una elevata dose di radiazioni direttamente sul volume tumorale con estrema accuratezza e precisione, provocandone la morte cellulare (necrosi).
Abbiamo chiesto al Dottor Giambattista Siepe (Radiation Oncology presso Ospedale Sant'Orsola-Malpighi Bologna) di spiegarci la sinergia tra immunoterapia e radioterapia stereotassica, il meccanismo di azione e i risultati:
La radioterapia stereotassica e l’immunoterapia sembrano essere la nuova frontiera nel trattamento del melanoma in fase avanzata.
Il danno indotto dalle radiazioni, e in particolare dalle elevate dosi raggiungibili con la radioterapia stereotassica, sembra infatti stimolare il sistema immunitario a creare una risposta contro il tumore. Recentemente studi preclinici e clinici hanno dimostrato come la morte cellulare indotta dalle radiazioni, o morte cellulare immunogenica, sia in grado di potenziare l'attività linfocitaria tumore specifica.
Tali evidenze radiobiologiche hanno stimolato l'interesse verso lo studio di nuove associazioni, in particolare la combinazione tra immunoterapia e radioterapia. Infatti i benefici derivati dal trattamento radiante, in aggiunta a quelli dei farmaci capaci di stimolare il sistema immunitario verso una risposta tumore-specifica, sembrano avere un effetto più che additivo rispetto alle due terapie considerate separatamente.
L' azione sinergica tra immunoterapia e radioterapia può essere spiegata da un lato dallo stimolo infiammatorio delle radiazioni, dall'altro dall'azione immunostimolante dei farmaci, che, insieme amplificano enormemente la risposta del sistema immunitario specifica contro le cellule tumorali.
Ad oggi le evidenze scientifiche derivano prevalentemente da studi retrospettivi e casistiche mono-istituzionali. I dati di maggiore rilievo fanno riferimento a trattamenti su pazienti con metastasi cerebrali, sottoposti a terapia combinata immuno-radioterapica. I risultati dimostrano come tale approccio combinato sia ben tollerato ed efficace in termini di controllo locale, e, in sottogruppi di pazienti, di sopravvivenza globale.
Limitati sono i dati relativi ai trattamenti su altre sedi di malattia (scheletro, linfonodi e organi parenchimatosi). Seppur limitati, anche in questo caso i profili di tossicità sono risultati di basso e medio grado. Non solo, tale trattamento combinato sembra capace di indurre una risposta anche in sedi non radiotrattate, suggerendo quell’effetto a noi noto come “abscopal effect”. Tale fenomeno può tradursi in un rallentamento dell'evoluzione della malattia con buon impatto sulla sopravvivenza.
L'insieme dei dati di cui disponiamo ci spinge a proporre il trattamento combinato immuno-radioterapico soprattutto ai pazienti con una malattia metastatica limitata (pazienti oligometastatici). Ulteriori studi con casistiche più ampie e migliore selezione di pazienti, sono necessari al fine di ottenere maggiori conferme e considerare tali terapie standard di cura.
Dottor Giambattista Siepe,
Radiation Oncology presso Ospedale Sant'Orsola-Malpighi Bologna.
Consiste nella somministrazione di farmaci citotossici, che possono essere usati come trattamento unico o in combinazione con chirurgia o radioterapia.
La chemioterapia fino a pochi anni fa era l’unica arma disponibile nella cura del melanoma in fase avanzata. Oggi riveste un ruolo decisamente minore, anche se può sempre dimostrarsi utile nel contrastare una malattia resistente ad altre terapie.
La chemioterapia consiste nella somministrazione di uno o più farmaci antitumorali (o antiblastici), può essere somministrata sotto forma di compresse, ma più comunemente per via endovenosa.
I chemioterapici più utilizzati nel trattamento del melanoma sono la dacarbazina, la temozolamide, la fotemustina. Il ricorso alla chemioterapia avviene di solito dopo un primo trattamento con target therapy o immunoterpia. Oppure viene utilizzata quando queste cure risultano controindicate al paziente.
Gli scienziati stanno da tempo studiando il ruolo del sistema immunitario nel combattere le cellule tumorali. Esse derivano da cellule normali, per questo è difficile per il sistema immunitario riconoscerle come estranee.
Per attivare il sistema immunitario sono stati testati tutta una serie di approcci, con l’obiettivo di trovare molecole capaci di scatenare una risposta immunitaria contro il tumore. Anche se non ne è ancora stata dimostrata l’efficacia, sono in corso diversi studi clinici che valutano l’impiego di antigeni del melanoma. La combinazione di un sistema sicuro, che possa indurre buone risposte delle cellule T contro un antigene tumore-specifico potrebbe dare una svolta alla lotta contro il cancro.
La cosa più importante è che un vaccino di questo tipo potrebbe funzionare anche a livello preventivo nei pazienti a rischio di sviluppare il melanoma.